Assunzione della Vergine – affresco strappato

Nella sacrestia della nuova parrocchiale di Monte di Nese si trova un affresco strappato di probabile origine della bottega del Marinoni

Questo articolo è estratto dal libro di Chiara Paratico “La bottega Marinoni – XV-XVI secolo”, Bolis Edizioni, 2008.

Si ringrazia l’autrice per aver concesso la pubblicazione di questi contenuti.


 

Assunzione della Vergine – affresco strappato

Apostoli – affresco strappato

Busti di profeti – affresco strappato


 

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Gli affreschi provengono dall’antica parrocchiale di Monte di Nese, in Alta Val Seriana, e attualmente sono conservati presso la chiesa nuova (1881-1895), in un vano adibito a sacrestia. La primitiva chiesa, per la quale si suppone un’origine trecentesca, fu separata da S. Giorgio di Nese ed elevata a parrocchiale nel 1444 dal vescovo Polidoro Foscari, con dedicazione alla Natività di Maria, (F. Rossi, 1982; A. Mandelli,1988, pp.306 – 310). Intorno al 1510, la chiesa, come documentano gli atti della visita pastorale del vescovo Ruzzini del 1700, venne ampliata e mutò orientamento da est a nord: «Visitavit postea corpus ecclesiae quae Nativitati Beatissimae Virginis sacra est. A vicinis fundata sive anno 1510. Quando sit consecrata ignoratur» (ASCVBg, Atti della Visita Ruzzini, vol. 79, c. 23V). La nuova chiesa si costituì dunque come un’aula unica divisa in tre campate da due archi trasversi a sesto acuto, con copertura a capriate lignee. Ancora oggi, nonostante l’edificio sia stato soppalcato per essere suddiviso su due piani e adibito a funzioni ricreative, sono ben identificabili il corpo unico della navata a tre campate e il diverso orientamento della chiesa originaria.

Gli atti della visita di S. Carlo Borromeo elencano all’interno della chiesa, nel 1575, i seguenti altari: l’altare maggiore «habet iconam magnam pulcram inauratam»; quello intitolato all’Assunta «sub fornice supra columnam habet iconam magnam»; l’altare del Santissimo; quello dedicato alla Immacolata Concezione, «sub fornice picta, habet iconam magnam inauratam»; e infine un altare senza dedicazione, per il quale i decreti del vescovo chiedono l’eliminazione (ASCVMi, Atti della visita di S. Carlo Borromeo, vol. XXIII; Gli Atti della Visita…, 1936-1957, vol. II, pp. 153-156). Nella relazione seicentesca inviata dal parroco all’agostiniano Donato Calvi, per la compilazione dell’opera dedicata alle chiese della diocesi di Bergamo e provincia, si conferma l’esistenza di quattro altari e si riferisce del progetto d’erezione dell’altare di S. Antonio da Padova: «Sono quattro altari, tre in faccia, uno al lato sinistro della Concettione et hor se ne fabbrica un altro a dirimpetto per S. Antonio di Padova, di marmi fini che sarà di valuta di ducati 500» (BCBg, D. Calvi, Delle chiese . . . , ms. sec. XVII, vol. III, c. 197). Nel XVII secolo venne dunque eretta una nuova cappella intitolata a S. Antonio da Padova, frontalmente alla cappella dell’Immacolata; l’altare presentava un’iscrizione con la data di realizzazione, il 1672, e i nomi dei committenti, i Curnis e i Tironi (A. Mandelli, 1988, p. 307). Giova ricordare en passant i legami di parentela dei Marinoni, a metà 500, con i Tironi di Monte di Nese: Pietro figlio di Giovanni Bonasi dei Tironi di Monte di Nese sposò infatti Medea figlia di Francesco fu Antonio Marinoni – si veda nel saggio introduttivo l’atto, datato 1562, con cui il Tironi reinveste della dote la moglie Medea (ASBg, Notarile, notaio Vitalba Gio. Battista, cart. 2294, cc, 49t-5or.)

È verosimile che l’affresco con la scena dell’Assunzione, oggi frammentato in tre sezioni e in un pessimo stato di conservazione (figg. 1, 2, 3), in origine si trovasse nella cappella intitolata alla Vergine Assunta.

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L’affresco fu strappato dalla sede originaria intorno al 1927 e trasferito nella nuova parrocchiale, edificata in forme neoclassiche alla fine dell’Ottocento. Nella stessa sede sono conservati anche altri due strappi” rappresentanti una doppia serie di profeti a mezzo busto, pure provenienti dalla chiesa antica (figg. 4 e 5). Ancora in loco sono invece visibili alcuni frammenti ad affresco, ignorati dalle operazioni di strappo. Per gli affreschi è verosimile una datazione intorno alla prima metà del XVI secolo, e qui si propone la restituzione alla bottega Marinoni. Appartengono invece a un’epoca più tarda le decorazioni ad affresco, con busti di angeli su candide nuvole, che ancora si intravedono sulle pareti delle arcate trasversali.

Ora, presso l’antica chiesa della Natività e con verosimiglianza presso l’altare dell’Immacolata, era in origine collocata un’altra opera marinoniana: il polittico intitolato alla Concezione, oggi conservato nella stessa sacrestia dell’odierna parrocchiale. Degli affreschi in esame invece, col tempo si era persa memoria. La scarna bibliografia sulla storia della chiesa antica timidamente accenna a un possibile legame di carattere stilistico fra l’ancona e l’affresco, senza avanzare tuttavia alcuna proposta attributiva. Francesco Rossi si sofferma soltanto sul polittico suggerendo un generico riferimento ai Marinoni (F. Rossi, 1979, pp. 43-44). Luigi Pagnoni descrivendo la nuova parrocchiale, nelle due edizioni dei volumi dedicati alle parrocchie della città e provincia bergamasca (L. Pagnoni, 1974, II, pp. 568-69; 1992, pp. 240-241), propone il nome dei Gavazzi, proprio alla luce della passata attribuzione del polittico alla famiglia dei pittori di Poscante. Sorprende dunque che Elia Fornoni, che pure riferisce il polittico ai Gavazzi, si soffermi, già al principio del secolo scorso, anche sugli affreschi allora ancora nell’antica chiesa, e ne suggerisca un’attribuzione ai Marinoni. Lo studioso, che nelle biografie dei pittori bergamaschi tenta fra i primi di delineare un corpus di opere da attribuire a Giovanni Marinoni, a suo figlio Antonio e al figlio di questi Ambrogio, pur attribuendo ancora molte opere della bottega Marinoni ai Gavazzi (ACVBg, Note…, ms. XX sec., vol. IV, cc. 36-42), nelle pagine manoscritte del Dizionario Odeporico sorprendentemente ravvisa nell’Assunta di Monte di Nese un carattere diverso, e fa il nome dei Marinoni: «Nella vecchia chiesa rimasero alcuni affreschi meritevoli di essere conservati e particolarmente quello che decorava la calotta dell’altare a destra, il quale buonissimo per se’ stesso, dovrebbe avere un merito speciale perché ricorda quel pittore ignoto che dipinse assai nella valle Seriana inferiore, e ch’io dubito fosse il Marinoni da Desenzano» (ACVBg, E. Fornoni, Dizionario Odeporico. . . , ms. XIX secolo, faldone XII, cc. 2141-2149). Dopo tale illuminata affermazione del Fornoni, che precisa l’originaria collocazione nella cappella a destra dell’altare maggiore, dell’affresco non si parla più se non nei testi di storia locale, senza tuttavia alcun approfondimento sul piano attributivo. Ora, per l’Assunzione purtroppo fortemente deteriorata, qui si propone l’inclusione nel catalogo della bottega alla luce di confronti con opere di analogo soggetto, restituite con più certezza ai Marinoni e che si datano fra la prima e la seconda metà del XVI secolo. Uno degli aspetti di maggiore complessità nello studio di una bottega attiva per generazioni come quella dei pittori di Desenzano al Serio, non è infatti solo il riconoscimento delle mani dei singoli maestri, ma anche l’evolversi nel tempo della “maniera” pittorica. L’affezione per consolidate tipologie e temi iconografici, il frequente ricorso a materiali di repertorio, proprio di una produzione in molti casi “seriale”, nonché il ritardo nella comprensione ed emulazione di nuove fonti figurative rendono piuttosto problematica l’identificazione di un percorso stilistico, accanto alla storia documentaria. L’affresco di Monte di Nese è di difficile lettura proprio perché non sono facilmente leggibili i dettagli identificativi delle fisionomie dei volti.


assunzioneI tratti somatici, che in questa monografia si sono più volte evidenziati come tipici dei Marinoni, le formule canoniche impiegate per la resa degli occhi, delle mani, delle barbe, sono più chiaramente riscontrabili nei Santi a mezzo busto (figg. 4 e 5); una conferma di come all’interno della bottega il lavoro venisse distribuito affidando le parti di minor importanza ai maestri meno dotati o in formazione, fedeli alle tipologie più consuete. Il raffronto più schiacciante per gli apostoli di Monte di Nese si istituisce con il gruppo dei Dodici ai piedi della Vergine Assunta, affrescati nel catino absidale della chiesa di S. Maria a Nembro (1537-1538). Lo schema compositivo è il consueto, ma accanto alla staticità e allo schematismo delle pose, si rileva un comune addolcimento nella definizione delle espressioni imbambolate degli apostoli, come ingentilite e dai lineamenti meno marcati. E all’interno del catalogo marinoniano si sono tentati raffronti anche con altri santi per i quali complessa è la collocazione cronologica, come il S. Rocco in collezione privata bergamasca. Eloquenti similitudini con Nembro sono riscontrabili anche nella rappresentazione della vergine Assunta: sul vaniloquio degli apostoli mossi da un gesticolare scoordinato e frammentario, uno stuolo di angeli suonatori in un equilibrio improbabile, chiude l’astratta silhouette della Vergine, nella sua calma ieratica, disegnando una mandorla iridata. Dal punto di vista iconografico non sorprende la riproposizione dell’assoluta Frontalità e staticità dell’Assunta (come già nella tavola di analogo soggetto datata 1522), di contro all’evolversi dell’iconografia propria alla tradizione figurativa lombarda, ravvisabile nei celebri quanto drammatizzanti esempi dell’Assunta ai Frari di Tiziano, o di Marco d’Oggiono alla Pinacoteca di Brera, frutto del congiungersi di stimoli nuovi diffusi in tutta la penisola. L’aggiornamento del tema iconografico rispondeva al tentativo, sotteso a molti testi della letteratura devozionale dell’epoca dedicati all’Assunta (di Bernardino da Siena e Lorenzo Giuriniani; l’Apochalypsis Nova del Beato Amedeo Mendes da Silva; il Libellus de Virginis Mani: Assumptione del francescano Giorgio Benigno Salviati), di dimostrarne il valore storico, e dunque di sostenere la drammaticità di un evento realmente accaduto, di contro a un’astratta immagine devozionale, a una teofania atemporale di lontana ascendenza bizantina. Esempi bergamaschi degni di nota, caratterizzati da un maggior dinamismo compositivo e da una drammaticità di pose volti e colori, sono I’Assunta dipinta da Lorenzo Lotto nella chiesa di Celana (1527), l’Assunzione riferita all’ambito di Antonio Boselli (pittore formatosi alla “scuola” del Foppa, capace col tempo di affrancarsi dal linguaggio cortese e neogotico) affrescata al principio del secondo decennio del 500 sulla volta del tempietto nella chiesa di S. Maria di Castello ad Almenno San Salvatore, o in un affresco molto lacunoso in una cappella in S. Nicola nella stessa Almenno (figg. 6-8), o infine in quello visibile sulla parete di fondo della chiesa dell’Assunta di Grassobbio, parte del ciclo con le Storie della Vergine.

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Qui si propone, a titolo di esempio, il difficile accostamento con il frammentario affresco in S. Nicola di Almenno (figg. 6-7), in considerazione dell’opportunità di approfondire anche in futuro il rapporto fra i Marinoni e l’ambito di Boselli, per un’indagine più approfondita di quella “corrente lombarda”, anti tetica alla massiccia presenza nel Cinquecento a Bergamo e provincia di maestri veneti, alimentata da botteghe della città (da Jacopino Scipioni, a Giacomo Scanardi ad Antonio Boselli, appunto), e della periferia, nelle valli e in pianura (come i Marinoni). La difficile leggibilità dell’affresco di Monte di Nese non impedisce infine di cogliere, in alcune fisionomie più caratterizzate, una certa somiglianza con i volti degli apostoli disposti a corona intorno al trono di Maria nella tavola della Pentecoste, oggi conservata nel museo dell’abbazia di Pontida, in questa sede riferita alla più matura attività della bottega. Certo non si può parlare di riscontri morelliani, e tuttavia da ciò che ancora s’intravede nasce il sospetto che a Monte di Nese operi un maestro dalla mano gentile e abile nell’affresco, influenzato da modelli veneti e lombardi – Antonio Boselli (i volti paffuti dalle gote rosee, le labbra rosse e carnose, etc.) – forse pertinente alla fase in cui la bottega è ormai retta dalla quarta generazione di pittori. Nelle due serie di santi inturbantati, infatti, accanto alle fisionomie più famigliari (fig. 4) al fare dei Marinoni, si riscontra anche un “segno” diverso (fig. 5), che lega anche queste figure, cromaticamente vivaci e impaginate fra decorazioni fiorite da miniatura, risaltanti sul fondo ocra (come anche le Sibille di Nembro), agli apostoli della scena dell’Assunzione.


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